"Nessuno è più schiavo di colui che si ritiene libero senza esserlo"
La storia di Ulisse apre una breccia su un’esperienza di lavoro dai confini poco definiti, all’interno di una realtà associativa impegnata nella ristorazione, secondo un (rivisitato) modello di alimentazione macrobiotica.
La prospettiva di un impiego stabile in una comunità centrata su ferrei ideali di vita sana, un po' spartana e limitante ma tutto sommato dalle positive premesse, spinge un 28enne a immergersi in un mondo surreale, fatto di ortodossia alimentare e imprescindibili precetti di vita (dalla rete del letto da usare al modo in cui praticare autoerotismo)
Un passato con qualche eccesso
di troppo da cancellare, un lavoro che non c’è e un futuro tutto da costruire. Con
queste premesse - e molte speranze - un giovane 28enne che chiameremo Ulisse approdò,
alcuni anni fa, al mondo della cultura macrobiotica.
Fin qui, nulla di strano.
Cucina sana, sapori semplici e genuini, sapientemente suggeriti da concezioni
alimentari partorite dalle filosofie orientali.
Ulisse,
un ragazzo…
In quel periodo, Ulisse stava
cercando di riprendere in mano le redini della sua vita. È un ragazzo di buona
famiglia, con buoni studi alle spalle ma una difficoltà a finalizzare causata
da un’inquietudine interiore che non voleva abbandonarlo.
Nonostante tutto, Ulisse
voleva ripartire e, per farlo, sapeva di dover depositare la pietra miliare
della sua rinascita cercando nuovi stimoli lavorativi. Grazie al lavoro, sperava
di ritrovare il bandolo della matassa di un equilibrio smarrito ma che voleva,
a ogni costo, ritrovare.
Ulisse oggi ha una storia da
raccontare. È un giovane uomo, acuto e mai banale, forse un po' timido, dai
modi pacati, uno di quelli che ti parla pesando attentamente ogni singola
parola. Lo incontriamo per un’intervista, in un parco pubblico, nel tardo
pomeriggio di un’afosa giornata estiva.
Con lui, ci spingeremo fino
alla sottile linea di confine che separa l’agognata promessa di un incontro
fortunato tra lavoro e passione, dall’inquietante (almeno per la scrivente,
ndr) realtà di una dimensione in odor di setta dove, per due spicci, se
sarai abbastanza ligio ai dettami impartiti, troverai salute e salvezza dai mali
del mondo.
Oggi,
per Ulisse, sono lontani quei tempi…
In cui le giornate erano
scandite da una rigida ortodossia alimentare segnata dagli opposti Yin e Yang,
in cui morte e malattie potevano essere scongiurate grazie all’assunzione di
cibi che riassumessero l’equilibrio tra i due princìpi contrapposti.
Mentre ci accingiamo a
iniziare la nostra chiacchierata, Ulisse mi offre stuzzichevoli patatine alla paprika, birra e limonata. Le forze
dominanti dell’universo ci perdoneranno, speriamo.
“Ero
sempre stato affascinato dalle filosofie orientali,
dal
benessere e il rispetto per la natura”
Come avviene il tuo incontro con la
macrobiotica?
Entro in contatto con la macrobiotica tramite un amico che già frequentava
questa associazione e l’annesso ristorante, dove una sera mi portò a cena.
L’impressione fu discreta. Venivo già da un passato lavorativo nella
ristorazione… Avevo lavorato come cameriere e pizzaiolo, mi piaceva la
preparazione dei cibi. In più, ero sempre stato affascinato dalle filosofie
orientali, dal benessere e il rispetto delle leggi della natura.
In quel periodo, stavi comunque cercando lavoro…
Sì. Venivo da un lavoro di volantinaggio,
ma cercavo qualcosa di più gratificante. Perciò, pensai di propormi a questo
ristorante.
Chi
era, all’epoca, Ulisse?
A distanza di qualche anno, posso dire che non
sapessi bene chi fossi e cosa volessi, non avevo ancora una mia progettualità.
Avevo lasciato l’università ed ero in terapia. Fu la mia psicoterapeuta a
consigliarmi di riprendere a lavorare”.
Facesti
un colloquio di lavoro, con questo ristorante?”
Non proprio. Il mio fu un avvicinamento misto, non un classico percorso
lavorativo previa invio del curriculum, colloquio conoscitivo e valutazione
delle competenze del candidato. Iniziai a frequentare cene e conferenze
organizzate dall’associazione, in cui si presentavano i dettami della cucina
macrobiotica. Da parte mia c’era l’interesse a scoprire questa disciplina e a
capire se ci fossero opportunità di lavoro, da parte loro c’era la volontà di
farsi conoscere. C’era un forte passaggio di dottrina macrobiotica, con vari
nessi e connessi.
Ad esempio?
Ad esempio, il fondatore dell’associazione
aveva una sua visione anche dei livelli più sottili della nostra esistenza. Sosteneva
che gli spiriti viaggiano nel cosmo prima di trovare altre dimore terrene. Una
persona dell’entourage, una volta disse che lo spirito di Cristo avrebbe scelto
il corpo del presidente.
E va be’, andiamo avanti, forse è
meglio…Col senno di poi, cosa si poteva intravedere di questa realtà?
Probabilmente, si percepiva già una certa gerarchia
interna. Nel corso delle cene, da una parte sedevano le figure organiche
all’organizzazione, dall’altra tutti gli altri”.
Inizi poi a collaborare con questa
associazione…”
Sì. Mi dissero, se ti interessa, inizia a
collaborare con noi. E così iniziai a frequentare il ristorante, da volontario.
Andavo il pomeriggio, davo una mano nella preparazione dei cibi. Si pulivano le
verdure, si capava il riso… Tutte attività da svolgersi al di fuori della
cucina.
Era previsto un rimborso spese,
qualcosa…
In quella fase, no. La mia esigenza di trovare
un lavoro migliore di quello che già avevo era stata messa da parte in virtù di
questa nuova prospettiva. Perché mi fu presentata la possibilità di iniziare, in futuro, un discorso lavorativo
vero e proprio con loro.
Perché lo facevi?
Ero affascinato dalla
ricerca della salute del singolo, attraverso la cucina sana. Dopo aver fatto
volantinaggio, mi piaceva ritrovarmi in un luogo dove potermi dedicare a
qualcosa verso cui provavo un iniziale slancio. In quel periodo, ho fatto anche
il lavapiatti per loro.
Lavapiatti volontario, ci credevi proprio… E a livello ideologico,
come procedeva?
Eh sì (Sorride). Ci parlavano di un modello di vita rigoroso,
fatto di cucina macrobiotica ma anche di rigide regole di vita, basate sul
rifiuto della tecnologia, dalla televisione al cellulare. Ci veniva detto
continuamente che ciò che avremmo mangiato fuori, un giorno ci avrebbe uccisi o
fatto del male. Per cui, gradualmente, vuoi la ricerca di un contesto che mi
potesse contenere in quel momento confuso della mia vita, vuoi il fascino
esercitato dalle discipline orientali e le loro derivazioni alimentari, vuoi la
paura di andare incontro a uno stile di vita malsano e pericoloso, presi a
chiudermi in questo circolo, sebbene volontariamente. Il buono era in loro,
fuori c’era il cattivo, da respingere e temere. C’era una separazione
fortissima tra il dentro e il fuori il cerchio dell’associazione.
Ribadisco, perché?
Per carattere e vissuto
personale, mi ritrovai in qualche modo sedotto da quel mondo così ferreamente
strutturato, dove mi sentivo guidato da figure più grandi che mi trasmettevano
un sapere orientato al benessere della persona. Solo dopo mi sarei reso conto
di ciò a cui stavo andando incontro.
C’è un’evoluzione. Cosa succede dopo i primi 2/3 mesi da
volontario?
Mi chiesero di andare a lavorare presso un
altro ristorante della catena, in un’altra città. Il motivo era che ritenevano
essere il mio bisogno di spezzare certe
connessioni... testuali parole.
Parlavi della tua vita con queste persone?
Sì, raccontavo della
mia famiglia, della psicoterapia che stavo facendo… Non so bene a cosa si
riferissero, ma questo mi fu detto. La mia idea ce l’ho, ma preferisco tenerla
per me.
Ricordo però una frase,
pronunciata pubblicamente in uno degli incontri a cui partecipa: Cari genitori, se i vostri figli stanno con
noi è perché noi diamo qualcosa che voi non avete saputo dare loro.
Capisco… Come accogliesti questo trasferimento?
Inizialmente bene. Ero
entusiasta di potermi prodigare per il bene dell’associazione. Dalla sera alla
mattina, zaino in spalla mi trasferisco in un’altra località, presso un modesto
appartamento in loro uso. Dormivamo anche in 4 in una stanza. Dalla mattina
alla sera, lavoravo in questo ristorante. Sveglia alle 7, e via a faticare,
anche 10 ore in negozio, impegnati in pranzo e cena.
E il contratto?
Inizialmente non mi
pare ne avessi uno. Poi arrivò, non ricordo se di collaborazione o a
progetto.
Quanto prendevi per 10 ore di lavoro in cucina?
Circa 200 euro.
Duecento euro per 10 ore di lavoro al giorno e un posto letto
in stanza quadrupla?
Sì.
Sono un 1 euro e 20 centesimi l’ora…
Hai sbagliato a fare il
conto. Sono circa 80 centesimi
l’ora. Aggiungendo il posto letto che mi mettevano a disposizione, si arrivava
a 1 euro l’ora. È quanto spendeva
l’associazione per il mio lavoro.
Quanto dura questa situazione?
Quattro mesi. Poi non
ce l’ho più fatta. Sermoni di filosofia macrobiotica, a colazione, pranzo e
cena. Ma non solo. Filippiche sul modo di intendere la vita e i rapporti, non
solo l’alimentazione. Tutto si centrava sulla ripetitività…Questi pasti dove il
responsabile prendeva la parola per ribadire e polarizzare noi ragazzi. Se
avessi saputo cosa mi avrebbe accettato in questa nuova città, sarei rimasto
nella mia. Non ti sbarrano il passo, ma avevo perso mia libertà. Tutto era
condizionato dai loro dettami. Se non ce la facevi, per loro non eri abbastanza
forte. Partivano le ramanzine, toni forti… No…
Nulla era lasciato al caso, mi accennavi…
Sì… c’era tutta la
precettistica sui rapporti, addirittura sul rapporto tra i sessi e la
sessualità. Se volevi avere una ragazza, veniva indicato di cercarla nella
comunità macrobiotica. Bisognava frequentarsi senza contatto fisico per un
periodo di tempo sufficiente ad accertarsi che entrambi avessero abbracciato
per sempre la macrobiotica. O comunque, doveva trascorrere almeno un anno senza
sfiorarsi. Ci veniva detto finanche come masturbarci.
Ah, molto interessante. Una "dimensione” totalizzante...
Non solo, dovevamo ringraziare
per questa esperienza che ci avrebbe fortificati. Saremmo diventati talmente forti
che l’associazione avrebbe avuto maggior bisogno di noi, assumendoci e
pagandoci diversamente. Ma io non ce la facevo più. Completamente assorbiti in
questo mondo di privazioni, totalizzante che coinvolge tutti gli aspetti della
vita. Ho detto basta, non era quello che volevo. Se mi avessero detto che stavo
per imbarcarmi verso una vita comunitaria di questo tipo, sfruttato per questa
cifra, avrei preso e me ne sarei andato.
Come presero la tua decisione?
Scrissi una lettera in
cui spiegavo i motivi del mio allontanamento. Ricordo che mi misero davanti un mio precedente scritto, risalente ai primi tempi, facendomi notare che nel frattempo ero cambiato. Mi fa rabbia
ripensare al valore dato al mio dubitare, interpretato come un segnale di
malattia! Al
contrario, se fossi stato sano, secondo loro avrei abbracciato questo stile di vita per sempre.
Sempre secondo loro.
Dubito ergo sum, più che mai il mio motto.
Sempre secondo loro.
Dubito ergo sum, più che mai il mio motto.